Prendimi l’anima
Che cos’è l’anima, che cos’è la psiche? Può l’anima nei suoi risvolti più profondi, spirituali ed interiori, essere in profonda comunicazione con la psiche? Che cos’è l’amore?
Amore e Psiche, gli eterni amanti descritti da Apuleio (scrittore latino) e raffigurati dal Canova in un’allegoria che racchiude profondissimi significati mistici e psicologici.
Sono queste immagini, queste figure, che mi sono affiorate alla mente quando ho visto per la prima volta il bellissimo e drammatico film di Roberto Faenza: “Prendimi l’anima“.
Un film del 2002 che ricorda la profonda e tormentata storia d’amore fra lo psichiatra Carl Gustav Jung ed una sua paziente, l’ebrea russa Sabina Spielrein, poi diventata a sua volta celebre psicoanalista.
Una storia che venne alla luce proprio di recente, anche per mezzo dello studio delle conversazioni epistolari fra il padre della psicanalisi Sigmund Freud ed il suo allievo Jung.
Sabina Spielrein è una fragile donna che nel 1904 fu ricoverata – a soli vent’anni – in una clinica nei pressi di Zurigo in quanto gravemente malata di isteria.
Qui la accoglierà amorevolmente uno Jung alle prime armi, dedito a sperimentare per la prima volta i metodi di Freud.
Metodi diametralmente opposti rispetto a quelli coercitivi in voga all’epoca, fatti di docce fredde e camicie di forza.
Il metodo freudiano – che sarà poi alla base di quello junghiano – si fonderà infatti sul dialogo franco ed aperto fra paziente e medico e sulla libera associazione delle parole (mai come in questo film sono stati messi in evidenza, sul grande schermo, i rudimenti di tale metodo).
Sarà proprio la fiducia della Spielrein nei confronti di Jung a garantirle la piena guarigione. Una guarigione – raffigurata – nel film di Faenza, dalla bellissima scena della Spielrein (interpretata da una magistrale Emilia Fox) che canta e suona “Tumbalalaika” (clicca su Tumbalalaika), canzone d’amore russa della tradizione ebraica, accompagnata dai sorrisi e dagli applausi di tutti i malati psichici della clinica. E da uno Jung che si farà coinvolgere nella danza, con l’evidente disapprovazione di tutti gli altri psichiatri, che già allora lo consideravano un tipo bizzarro.
“Non ci può essere cura senza amore“, afferma Jung nel film stesso, che ricorda una delle sue celebri massime: “Dove l’amore impera, non c’è desiderio di potere, e dove il potere predomina, manca l’amore. L’uno è l’ombra dell’altro“.
Sarà così che, dopo la guarigione, Jung continuerà a frequentare la donna, incoraggiata da lui stesso ad intraprendere studi in medicina. E sarà così che i due si innamoreranno perdutamente l’uno dell’altra in un’unione perfetta e simbiotica, erotica e passionale nella quale Jung si immergerà completamente, affascinato da questo mondo femminile intenso e profondo in cui poesia, intelligenza, sensibilità, leggerezza e sprazzi di geniale intuizione, lo porteranno ad intravedere, conoscere, sentire “L’Anima” e ad elaborarne la relativa concezione cardine della sua dottrina.
Jung, inoltre, donerà alla Spielrein, una pietra, rammentandole che gli uomini primitivi erano soliti credere che l’anima umana fosse contenuta in essa. Egli l’aveva così metaforicamente resa “custode della sua anima“.
Carl Gustav Jung è tuttavia un uomo sposato e si vedrà costretto ad interrompere bruscamente il rapporto con la Spielrein, che nel frattempo si laureerà e sposerà successivamente un medico russo che le darà due bambine.
E’ così che la Spielrein tornerà nella sua Russia, a Mosca, ove fonderà un asilo per bambini: l’Asilo Bianco.
Jung, comunque, non la dimenticherà al punto che continuerà a sognarla e saranno proprio i suoi sogni premonitori a segnalargli i momenti di pericolo corsi dalla donna e il momento nel quale muore fucilata dai nazisti.
“Prendimi l’anima” è dunque un’opera unica nel suo genere, che parla di anima e di amore a partire da due storie autentiche: quella di un fine studioso dell’inconscio come Jung e quella di un ex malata di mente poi brillante psicanalista.
Amata ed abbandonata da Jung, chiamata affettuosamente “la piccola” da Freud, Sabine rimane simbolo dell’amore e della passione vissute con pienezza che, invece di distruggere, animano alla vita e si trasformano in forza attiva ed eguale passione intellettuale. Questa la sua esortazione e preghiera: “O spirito protettore fa che io non perisca nella burrasca dei miei sentimenti! Voglio essere decisa e libera!”
Un rapporto eterno: anima e amore, destinato ad affascinare e ad entrare sempre e comunque nella vita quotidiana di ciascuno di noi.